60 anni fa, alle ore 22.39 esatte, 266 milioni di metri cubi di una frana di straordinarie dimensioni precipitarono dal Monte Toc ad una velocità di 90 km/h nel lago artificiale creato dal torrente Vajont. Si alzò in alto nel cielo nero, per oltre 260 metri, una massa d’acqua di 50 milioni di metri cubi (nda: per dare il senso a questo valore, cercate di rappresentare l’equivalente di 50 campi da calcio per un’altezza di 100 metri d’acqua…). Qualche decina di secondi dopo morirono 1910 (millenovecentoedieci) innocenti inermi, travolti dalla violenza dell’aria, dell’acqua e del fango.
In poco più di 4 minuti si era consumata la tragedia del Vajont
La memoria autentica di questa immane sciagura, creata esclusivamente dall’ingordigia dell’uomo e dal profitto cercato ad ogni costo, si coltiva nel ricordo e nella trasmissione dei valori che a questa memoria si associano. Memoria personale, dunque, che come tale va coltivata con lo studio, ma anche memoria collettiva, se non vogliamo che tutto questo dolore scolori nell’indeterminato oblio.
Un abbraccio forte a mio padre che perse il fratello Romano, mai più trovato, e a mio suocero, Mario Fabbri, per il potente lavoro svolto in silenzio per dare giustizia. Un abbraccio vada oggi a tutti i famigliari delle persone decedute e ai sopravvissuti, alle comunità di Longarone, Codissago, Castellavazzo, Erto e Casso, che seppero rialzarsi ed affrontare ancora la vita e la speranza.
Fabio Bristot – Rufus