L’idea della Ferrata della Memoria nasce a Mestre, nel 2005, di ritorno da un incontro in Regione Veneto tenutosi con CAI e AGAI, quando ebbi modo di porre un quesito all’allora Presidente delle Guide circa la realizzazione di nuove ferrate. Gli chiesi, infatti, in quell’occasione “come mai, al posto di privilegiare percorsi di bassa e bassissima quota sullo stile franco-svizzero, poco impattanti e dal notevole e certo appeal turistico/professionale, oltre alla messa in sicurezza di tutti gli itinerari esistenti con identiche metodiche e parametri manutentivi, si continuasse, in alcuni casi, a preferire antistorici ed impattanti nuovi itinerari” sulle cime delle Dolomiti.
La risposa venne data attraverso un’ulteriore domanda “fammi un esempio preciso su cosa intendi?”, alla quale replicai – lo ricordo come fosse ora – “perché non fate una ferrata nella gola del Vaiont che leghi la comunità di Longarone con quella di Erto e Casso, una sorta di filo d’acciaio che unisca ancor più la parte alta e quella bassa?”
Successivamente, l’aver visto un paio di anni dopo sul coronamento della diga una targa di cui ignoravo l’esistenza e che mio nonno aveva voluto porre in memoria di suo figlio Romano Bristot (operaio SADE il cui corpo non venne mai più trovato), corroborò quell’idea. L’aver scoperto quella targa di bronzo in modo del tutto inaspettato mi donò un’emozione straordinaria e di rara intensità, fattori che, in qualche modo, solidificarono l’intento sino ad allora rimasto solo un’enunciazione.
L’idea, forse allora avveniristica, venne poi trasferita alla locale Stazione CNSAS e alla Sez.ne del CAI che non dimostrarono lo stesso mio entusiasmo né quello dei vari soggetti istituzionali con i quali avevo nel frattempo condiviso la proposta e che si erano detti entusiasti, ma parimenti avevano manifestato il grande tatto che si sarebbe dovuto usare trattando il tema “Vajont”.
Perché, dunque, una Ferrata della Memoria??
Unire memorie lontane… Unire comunità diverse, ma accomunate da un’unica data e uguale sentire… Unire l’alto e il basso proprio attraverso l’elemento fisico identificabile nello spazio che sta tra il coronamento della diga e il fondo del vajo. Unire per non dividere e separare mai più!
Far ricordare insomma con un percorso – la Ferrata della Memoria – che sapesse coniugare l’aspetto storico e storiografico … a quello socio-culturale, e che fosse in grado di generare, proprio grazie alla visione del “cuore di quel budello tragico”, aspetti emozionali unici a favore delle attuali generazioni e di quelle che verranno. Far loro insomma capire cosa è stato, cosa è e soprattutto cosa sarà per sempre il 9 ottobre 1963.
Questo era il significato autentico e più genuino che ha fatto scaturire – come dicevo –quell’idea nel 2005 e fatto muovere i primi passi concreti nel 2013.
Gli altri passi, oltre all’idealità e alla tensione del ricordo sono stati quelli resi possibili dalla finalizzazione del progetto Interreg IV “SAFERALPS ID n. 6782” per il quale rinnovo il ringraziamento a DolomitiCert e alla Coop Dolomiti Vertical Service e alle Guide Alpine.
A distanza di anni sono state migliaia le persone che l’anno percorsa ed altrettante quelle che hanno lasciato nel libro posto all’uscita del percorso il loro commento.
Per molte di queste percorrere la Ferrata della Memoria è stata forse solo un percorso tra tanti, ma ritengo che per la stragrande maggiorana degli appassionati che l’hanno percorsa con il cuore sia stata, invece, motivo per effettuare una riflessione sentita su quei luoghi che trasudano ancora dolore.
A quanti persero la vita in quell’immane tragedia, al dolore eterno dei superstiti e dei famigliari delle persone scomparse, tra le quali annovero anche la famiglia di mio padre, è stata dedicata la Ferrata della Memoria.
Fabio Bristot – Rufus