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Fabio Bristot Rufus

MONTE VISENTIN DRAMMATICO. UNA STORIA LONTANA, MA ANCORA PRESENTE NELLA MEMORIA DEL CUORE

12 Gennaio 2024
in Montagna, Belluno e dintorni
Tempo di lettura: 3 minuti
0
Home Montagna
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Alcuni, a torto, ritengono che il Nevegal, la Faverghera, il Col Toront e il Col Visentin non siano propriamente una montagna, giudizio che, se per generali caratteristiche morfologiche e altimetriche è per certi versi accettabile, per altri, vale a dire per l’attività del Soccorso Alpino resa negli anni, non lo è affatto. Queste zone, infatti, hanno rappresentato, spesso motivo di drammatiche vicissitudini.

Non a caso in quasi settant’anni di attività proprio sul Nevegal e sul Visentin si sono registrati (dato aggiornato a dicembre 2023) si sono raggiunti i 51 interventi per 86 persone soccorse, tra le quali 64 feriti, 13 morti e 1 disperso, alcuni dei quali precipitati nel periodo invernale lungo l’insidioso versante nord, che guarda la zona del Lago di Santa Croce e Vittorio Veneto, altri in zone diverse del Gruppo come, ad esempio, la Valle di San Mamante. Quest’ultimo dato dimostra la veridicità delle valutazioni sopra esposte ed è indice di come non siano necessariamente e sempre le pareti verticali a creare situazioni pericolose e, talvolta, autentiche tragedie.

Un intervento tra tutti, per la particolare drammaticità e per le dinamiche intervenute, si desidera ricordare in questo contesto storico.

Il giorno 15 gennaio 1984, alle ore 13.45 ca., secondo una ricostruzione fatta a posteriori, una donna di 34 anni e sua figlia di 8 anni, mentre percorrevano la strada che conduce in vetta al Visentin, scivolarono per ca. 550 metri su un pendio di neve ghiacciata del versante sud del Visentin, con una pendenza che in alcuni tratti raggiungeva i 50°.

L’allarme venne immediatamente lanciato da un carabiniere del presidio del Rifugio “V Artiglieria”, ma nonostante la celerità dell’allarme vennero a crearsi una serie di situazioni che limitarono fortemente l’intervento del Soccorso Alpino. Tra queste, l’utilizzo di due elicotteri (AB 206 dei VV.F. e AB 205 dei V Corpo d’Armata di Casarsa) non in grado di comunicare tra loro e, soprattutto, la grande sovrapposizione di competenze che creò situazioni a dir poco imbarazzanti.

Solo grazie all’ottimo rapporto operativo con l’Esercito fu possibile trasportare un congruo numero di Volontari in quota. Altri Volontari si trovavano già sul luogo come Giubbe Rosse del soccorso piste, tra cui Giuseppe Da Damos e Armando Sitta, i primi a raggiungere le due infortunate.

Solo alle ore 17.15 (!!) – sembra invero impossibile che sia stato perso tutto questo tempo -, fu possibile iniziare le operazioni di recupero.

Iniziarono, quindi, a scendere la lastronata di ghiaccio Gianni Gianeselli, Gino Lotto, Umberto De Col ed Arturo Giozzet con la barella “Mariner”, seguito da Adelino Brun, mentre i contatti radio erano tenuti Roberto Elmetti, agente della Polizia di Belluno, davvero prezioso per tutto il corso dell’intervento.

Alle ore 18.20 la barella raggiunse la madre che era stata incautamente trasportata (Giuseppe Da Damos aveva, infatti, intimato a volontari occasionali di non trasportare l’infortunata senza le dovute precauzioni, ma di lasciarla a terra in posizione di sicurezza, considerate le gravissime condizioni in cui si trovava. Richiamo purtroppo disatteso) sino ad una piccola cengia, posta 150 metri più a valle dal posto dove giaceva la figlia.

Si trattava ora di effettuare una corsa contro il tempo e contro le insidie di un lungo tratto ghiacciato, che doveva mettere a dura prova i soccorritori.

Fu deciso di formare da subito due squadre, la prima per trasportare la madre ancora viva lungo il sentiero che sale verso Forcella Zoppei, la seconda per trasportare la ragazzina, ormai deceduta, in direzione della cima del Visentin, lungo la calata che era rimasta attrezzata. Questa squadra arrivò nei pressi dell’antenna alle ore 20.00, passo dopo passo, lentamente … una risalita irrituale con una bambina di otto anni esamine nel sacco salma, sui volti dei Volontari il segno del dolore unito a quello della fatica.

L’altra squadra, invece, arrivò in cima poche decine di minuti dopo, alla luce delle frontali, con la stessa mestizia ed avvolta in un eloquente silenzio. Durante il trasporto la donna era morta, sul suo volto rimaneva solo una patina di ghiaccio vagamente illuminata dalle torce elettriche.

L’operazione di soccorso, effettuato il trasporto delle due salme a valle, ebbe termine alle 22.35.

La Stazione, in riferimento ai notevoli, gravi, disguidi creatisi tra le 13.45 e le 17.10, ebbe modo di disaminare qualche giorno più avanti quanto accaduto, attraverso la stesura di una minuziosa relazione che termina con poche incisive righe, quasi un monito per il futuro: “E’ apparsa palese la necessità di operare e di organizzarci indipendentemente dalla esistenza di altri soggetti, anche se da questi dipendiamo per il trasporto”.

Fabio Bristot – Rufus

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