RABBIA E DOLORE, INDIGNAZIONE … ANNUNCI E PROCLAMI … POI IL SILENZIO: PERCHE’ A DISTANZA DI UN ANNO SI ABBIA ANCORA LA FORZA ED IL CORAGGIO DI URLARE (Tratto dal Volume “Falco:Dario, Fabrizio, Marco e Stefano.
All’indomani dell’ennesima tragedia consumata tra un coacervo di lamiere e sangue, grida e rabbia subentra una sorta di aggressione mediatica ai fili, ai piloni, ai cavi, alla teleferica di turno … talvolta ai loro proprietari o gestori.
Sembra quasi che l’indomani tutto, repentinamente, debba cambiare allo stentoreo proclama “mai più stragi nei nostri cieli”, “la sicurezza degli equipaggi prima di tutto”, “nuove norme più severe”, “mai più killer nascosti”, “lo Stato si muove”.
Insigni giuristi scalpitano per normare e legiferare al riguardo congiuntamente a schiere di legislatori penali che vergano di tutto punto il nuovo, aspro sistema sanzionatorio per quanti non ottemperano alle disposizioni; squadre di imbianchini si muovono di buon’ora pronti a colorare il terzo superiore di piloni e tralicci di colore rosso-bianco con altrettante squadre di funamboli pronti a posizionare palloncini rossi e bianchi ovunque; … in genere una pletora di esperti dell’ultima ora che dopo pochi giorni ritornano ad assopirsi nella consueta mediocrità.
Poi il silenzio ammanta tutto e tutti. Le enunciazioni di principio categoriche scolorano nel tempo condizionale. Le dichiarazioni massimaliste si attenuano sino a scomparire. L’oblio diventa l’orizzonte della quotidianità.
Dietro a questo mesto panorama restano le carcasse di elicotteri e d i sospiri mai sopiti dei famigliari e degli amici, qualche pezzo di cavo ormai sepolto tra la ghiaia o le foglie di un bosco, ad eterno ricordo di una tragedia consumata troppo in fretta per poterla ricordare anche solo come ammonimento.
D’altro canto se così non fosse l’Italia avrebbe già perso da tempo il solitario primato del paese con il più alto numero di infortuni e morti sul lavoro dell’Europa Occidentale. Ogni anno si registrano nel nostro strano Paese oltre mille morti, morti così dette bianche, dove l’uso di questo aggettivo sembra quasi alludere all’assenza di un vero e proprio mandante o di una vera e propria causa. Niente di più menzognero ed ipocrita, poiché la base statistica che analizza le cause degli incidenti rappresenta esattamente il contrario.
Ma la vera causa – non nascondiamoci ancora a lungo dietro alla classica foglietta di fico – è riconducibile all’assenza di normative rigorose quanto seriamente applicabili (nda: sto quindi riferendomi ad altro rispetto al recente D.Lgs n. 81/08 ed ai successivi Decreti correttivi …), all’inefficacia quali e quantitativa dei controlli e in molti casi del fatto che anche i più elementari parametri di sicurezza vengono ignorati per irresponsabile superficialità o per aumentare, gioco forza, i margini dei ricavi.
Entriamo senza dubbio in un campo minato che forse esula dai desiderata e dalle reali intenzioni di questa pubblicazione, ma sino a che il nostro dire non viene contraddetto nei fatti noi continueremo a parlare,come si suol dire, apertis verbis, senza timore e senza volontà di offendere chicchessia.
Da una parte pecchiamo forse di marcata presunzione, dall’altra forse di eccessivo attivismo. Non ci vergogniamo né ci nascondiamo però dietro – questa volta – ad un ago di pino, qualcosa vogliamo dire e soprattutto qualcosa desideriamo fare.
In realtà questo nostro obiettivo – il fare – dovrà rimanere una sorta di ideale normativo, una guida che ogni singolo giorno ci deve spronare a combattere perché il ricordo dei nostri quattro amici possa avere in qualche modo un significato.
In modo forse falsamente modesto il fatto che dopo oltre un anno dalla sciagura del 22 agosto 2009 ci si ritrovi ancora a scrivere dell’accaduto potrebbe essere un buon segnale per dire che qualcosa si muove, ma lasciamo ad altri il giudizio. Certo è che non ci si può limitare a far parte delle categorie in precedenza elencate.
La pensa allo stesso modo il Com. te Roano Grandi, già Presidente dell’Associazione Elicotteristica Italiana, che qualche tempo fa, asseriva con estrema convinzione e determinazione che “il problema dei cavi è una prerogativa del soccorso in montagna”. L’articolo continuava poi ricordando come tutti gli incidenti dovuti ad impatti con cavi sia essenzialmente dovuto alla scarsa visibilità che ha di per sé l’ostacolo, al fatto che lo stesso non sia il più delle volte segnalato in alcun modo e alla concentrazione dell’equipaggio nell’esecuzione della missione in prossimità del terreno.
Insomma, queste tesi e, come vedremo soprattutto quelle più avanti riportate, dimostrano inequivocabilmente che gli incidenti legati a questa fattispecie avvengono per un’unica ragione: l’invisibilità dei cavi sempre e comunque o l’invisibilità dei cavi in alcune situazioni di luce incidente e/o luce riflessa, congiuntamente al colore di fondo.
Analogamente su una rivista specializzata (Volare – Dicembre 2009), il Presidente dell’E.N.V.S. (Ente Nazionale per la Sicurezza del Volo), Bruno Franchi, proprio a seguito della tragedia di Rio Gere lanciava, inascoltato, l’allarme che “gli incidenti si ripetono senza che si faccia nulla per studiare, emanare ed applicare norme di prevenzione precise ed efficaci.” Proseguiva poi dichiarando che “vi sono Regioni e Province – in modo particolare quelle autonome – che adottano provvedimenti per la segnalazione di quegli ostacoli, ma manca una legge quadro che affronti il problema su scala nazionale”.
Non poteva che esprimersi in modo diverso considerato che il Codice di Navigazione Aerea è stato istituito con Regio Decreto nel lontano 1942, quando non mi pare esistessero ancora gli elicotteri, mentre l’ultimo atto che in qualche modo tratta il problema degli ostacoli al volo è la Circolare Stato Maggiore dell’Aeronautica del 1981.
In entrambi i casi va sottolineato come si sia inteso normare in modo assai generico il volo ad ala fissa che, per proprie evidenti caratteristiche, è cosa assai diversa dal volo degli elicotteri ed, in modo ancora più importante, è cosa diametralmente opposta nel caso di elicotteri che effettuano ricognizioni a bassa quota o effettuano operazioni al gancio baricentrico e al verricello.
Nel bel paese funziona così.
Uno degli esempi più eclatanti ed indice che certifica quanto sino a qui detto è l’excursus che segue, anzi potremo definirlo una sorta di amara allegoria dopo i casi già significativi prima illustrati.
Il 18 marzo 2005, durante una missione di antincendio boschivo, un Canadair (targhe I DPCK) urta una fune di guardia in località Serrvaezza (LU) e precipita al suolo in località Vittoria Apuana (LU), dopo essersi incendiato. Muoiono all’istante i due piloti.
L’Italia nelle sue massime istituzioni con la generosa amplificazione dei media si percuote il capo, si indigna. La pubblica opinione fa da legittima ed utile risonanza all’ennesima tragedia evitabile, mentre i famigliari piangono i loro cari.
Ma – dicevamo – cosa fa lo Stato?
Lo Stato in modo inusitato e per certi versi sorprendente legifera a testa bassa con il principio imperante del “mai più queste tragedie”. Riesce in modo straordinariamente veloce a licenziare la nuova Legge n. 152 del 26 luglio 2005 (è in realtà la riconversione in legge di un decreto recante disposizioni urgenti in materia di protezione civile) che recita testualmente “per garantire la sicurezza dell’attività di volo della flotta antincendio dello Stato, nonché per assicurare elevati livelli di prestazioni nella lotta attiva agli incendi boschivi, devono essere collocati idonei elementi di segnalazione, sia a terra che aerei, su impianti, costruzioni, piantagioni ed opere che possano costituire pericolo per il volo ed intralcio all’esecuzione dall’alto delle attività di spegnimento degli incendi boschivi, ovvero, ove possibile, procedere all’interramento delle predette opere. (omissis)”
Dico da subito: “ma come? E che ca(z)spita?”
Sacrosanto il diritto di garantire la sicurezza dell’attività di volo della flotta antincendio dello Stato, ma tutte le restanti flotte (Carabinieri, Polizia di Stato, ecc. ma soprattutto quelle del S.U.E.M. 118 poiché maggiori sia per numero di elicotteri sia per la frequenza di volo degli stessi e tipologia d’impiego) sono figlie di un dio minore o mandate al massacro perché mis-conosciute, quindi ignorate? Evidentemente si.
E aggiungo ironicamente: “E’ stato fatto qualcosa nei tempi che la stessa legge imponeva?” Evidentemente no.
Sono passati 5 anni e sepolti altri corpi (anche quelli dei nostri amici) senza che nulla sia stato fatto. Ad oggi la Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha ufficialmente licenziato alcuna linea guida e non è stato adottato alcun altro provvedimento in materia.
W l’ITAGLIA, si proprio, W L’ITAGLIA quella che non si assume mai la piena ed matura responsabilità di quanto accade perché è colpa di qualcun altro.
Da allora comunque più nulla se non, come detto, enunciazioni e proclami, nella consapevolezza che il tempo attenua posizioni di aperta critica ed il lutto ormai elaborato di tante madri e tanti padri, di altrettante compagne e figli, fa sopire le coscienze e gli stati d’animo più accesi. La solita tecnica anestetica buona per questa ed altre occasioni.
Ebbene noi vogliamo provarci lo stesso, forse sapendo di combattere una battaglia titanica il cui fine, per quanto nobile, risulterà alla fine improbo per le modeste forze che riusciremo a mettere in campo. Abbiamo, però il dovere morale, il pungolo incessante del ricordo di quattro amici violati nella loro voglia di vivere che ci impongono di dire almeno qualcosa, anche se l’obiettivo finale – come detto – è quello di fare qualcosa.
La complessità del problema è indiscutibilmente rilevante, molte sono le competenze in materia, troppe forse per non generare conflitti di attribuzione o, per l’appunto, sovrapposizioni che alla fine non pervengono ad una sintesi superiore, ma solo ad un inutile babele di incontri e riunioni estenuanti che forse producono codicilli frammentati in note e noticine da farmacista.
“COSA DEVE ESSERE FATTO PER TUTELARE GLI EQUIPAGGI DELL’ELISOCCORSO”
Il C.N.S.A.S. ritiene, sulla scorta della tragica esperienza vissuta e in base a quanto da sempre viene detto dai piloti con la maggiore esperienza di volo in montagna e soprattutto di soccorso in montagna, che ci siano diversi principi da condividere, quindi da praticare per iniziare a parlare di reale tutela degli equipaggi dell’elisoccorso, ma anche, in realtà, di tutela tutti gli equipaggi che, senza distinzione di livrea o amministrazione o proprietà utilizzano l’ala rotante, cioè l’elicottero per l’espletamento delle loro funzioni.
Si deve senz’altro partire da una buona analisi statistica senza la quale si rischia di continuare a guardarsi la punta delle scarpe, orientando il nostro credo ad esperienze estremamente limitate e che rischiano alla fine di alterare l’oggettività delle analisi, quindi anche delle soluzioni che a seguire si prospettano.
Secondariamente deve essere effettuata una raccolta di quanto oggi esista in materia di leggi e normative diverse sugli ostacoli al volo, facendo attenzione a recuperare non solo eventuali testi vigenti (invero pochi ed estremamente datati), ma anche tutta la mole di proposte che sino ad oggi non hanno trovato, per le motivazioni più diverse, compimento. Rapportare questo corpo di leggi e norme con esperienze dei paesi più avanzati in questo specifico settore e, solo dopo, avanzare le proprie tesi in termini di proposte di legge, diventa il passo successivo.
Analisi statistica.
In Italia non esiste uno storico (almeno degli ultimi 35 anni) relativo agli incidenti aerei (né ala fissa né ala rotante) dovuti ad impatto con ostacoli verticali e/o orizzontali, quindi né statistiche né studi né, come sempre capita nel bel paese, nulla di nulla.
Ancora una volta solo la passione e la tenacia di qualcuno supplisce al deficit delle istituzioni. Ringrazio al proposito il pilota ed amico Martin Amrain che sta tentando di creare ed aggiornare, con peraltro ottimi risultati, un database a caratterizzazione nazionale che tiene traccia di tutti gli incidenti avvenuti in Italia.
dove sono morte decine di persone ed altrettante sono rimaste ferite (In Italia negli ultimi 30 anni, secondo stime prudenziali per le ragioni prima in evidenza, ci sono stati n. 33 incidenti dovuti ad impatti con i cavi, con n. 31 morti, n. 19 feriti e n. 18 illesi), ma soprattutto degli incidenti pregressi.
Solo con l’istituzione dell’A.N.S.V. (Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo) avvenuta con il D.Lgs n. 66/99, in attuazione delle disposizioni contenute nella direttiva comunitaria 94/56/CE del Consiglio del 21 novembre 1994 (5 anni dopo, dunque ….), in Italia si è in grado di produrre dati, quindi effettuare analisi e prospettare soluzioni.
In Canada, negli Stati Uniti e nella vicina Svizzera queste analisi e questi studi sono all’ordine del giorno proprio pechè esiste una base di dati su cui lavorare.
Secondo uno Studio della F.A.A. (Federal Aviation Administration), ad esempio, in 20 anni, negli solo Stati Uniti, sono occorsi ca. 5.000 incidenti aerei dovuti ad impatti con i cavi. Un numero certamente impressionante (un incidente ogni 36 ore ca.), ma il dato più significativo, anche ai fini della presente disamina, è quello relativo al fatto che ca. 4.500 incidenti (il 90% dei casi), sono avvenuti ad un’altezza inferiore ai 60 mt. dal piano di campagna.
Analogamente uno studio della N.A.S.A. ha valutato che ca. l’86% degli incidenti aerei (sia con ala rotante sia con ala fissa) dovuti ad impatti con i cavi avviene di giorno, con buona visibilità (ceyling =/> 1.000 mt.). Inoltre, è emerso che in ca. il 40% dei casi, i piloti erano a perfetta conoscenza della presenza di cavidotti in zona, mentre l’80% dei piloti coinvolti aveva oltre 1.000 ore di volo, in molti casi superavano le 5.000 ore, quasi a significare che, nonostante la profonda esperienza, questi killer il più delle volte non sono visibili.
Come si vede c’è molto da lavorare sia a livello locale, là dove le competenza in una determinata materia sono di carattere regionale, sia a livello nazionale dove l’impresa è davvero ardua, forse impossibile come abbiamo inteso.
Andiamo però per gradi.
A livello regionale il Soccorso Alpino ha lavorato in modo intenso sia sotto il profilo normativo e legislativo sia sotto quello della recensione degli ostacoli al volo, come vedremo anche in seguito.
Se la categoria degli ostacoli al volo orizzontali è quella che determina in assoluto la maggiore pericolosità, all’interno di questa vi è un’ulteriore sotto categoria o specie di ostacoli orizzontali che è quella rappresentata dalle teleferiche.
Se bassa, media ed alta tensione sono ostacoli lineari in qualche modo recensibili le teleferiche, vista che una stima attendibile afferma che oltre il 95% sono abusive, rimangono in ogni caso i killer più pericolosi.
In relazione a quest’aspetto, va richiamato che ad oggi le uniche Regioni che hanno prodotto discipline in materia sono l’Alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia. In Veneto la L.R. n. 21/08 – Disciplina degli impianti a fune adibiti a servizio pubblico (…) – non contempla ad esempio, diversamente ad esempio dalla L.P. n. 1/06 della Provincia Autonoma di Bolzano, tutta la disciplina relativa le funivie in servizio privato e le teleferiche sia di carattere temporaneo sia di carattere permanente.
Tradotto vuol dire che si devono proporre delle modifiche alla “21” che integrino, sulla scorta delle eccellenti esperienze delle province contermini (con l’applicazione puntuale della legge, a Bolzano, in poco meno di 3 anni, sono state recensite oltre n. 4.200 teleferiche), tutte le parti mancanti.
Contestualmente, si deve proporre un Progetto di Legge di iniziativa della Giunta Regionale o, ancor meglio, di iniziativa bi-partisan da parte di tutti i Capi Gruppo relativo a “Nuova disciplina sugli ostacoli al volo” che riunisca in modo realmente sinergico le Direzioni e/o le Unità di Progetto interessate (Protezione Civile, Sanità, Ambiente e Territorio) al S.U.E.M. e al C.N.S.A.S. e a quanto questa organizzazione ha già trasferito nel medio periodo alla Regione Veneto in termini di proposte concrete e know how.
A livello nazionale … ohi a livello nazionale – dicevamo – sarà durissima solo per individuare i soggetti che hanno una qualche titolarità per dire qualcosa in materia, immaginiamo quindi quale possa essere il percorso per tutte le restanti parti del nostro ragionamento.
Scoraggiarsi però non serve.
Con tutta la modestia del caso, il Soccorso Alpino ha lavorato in questo periodo anche per la predisposizione di una legge quadro nazionale, pervenendo alla stesura di un testo, certamente perfettibile (è anzi auspicabile che lo sia) che rappresenta una proposta assolutamente snella ed articolata sia sulle competenze dello Stato Centrale sia su quelle più specificatamente regionali.
In ogni caso da cinque anni tutto tace. Speriamo si possa destare questo torpore con la rinnovata forza di proporre un possibile percorso e determinate soluzioni efficaci, ma anche estremamente rapide poiché le date prima evidenziate ed il ricordo immutato dei nostri amici non permettono più di aspettare neppure un giorno.
Cosa fanno a poco più di 100 km in linea d’aria. Alcune altre note sui servizi di elisoccorso in montagna … approfittando dello spazio.
Sembra incredibile … ma non stiamo parlando di una regione remota nella galassia ma della vicina Svizzera, dove le norme non vengono fatte, a pensar bene, da burocrati culo, sedia e camicia e viceversa, ma da personale che ogni giorno guarda fuori dalla finestra, decide di uscire dalla porta ed affronta il mondo circostante immergendosi completamente in esso, nei suoi problemi veri e nelle criticità emergenti.
Fuor di metafora, voglio dire che sul campo nascono metodiche, modalità operative, normative di riferimento e non con il processo contrario che idea o crea modelli sperimentali che si rivelano alla prova dei fatti spesso assai lontani dal saper offrire risposte esaustive, per meglio dire, sicure a chi ogni giorno vola o è costretto a farlo.
Parimenti in Svizzera il volo in montagna è una cosa seria e non semiseria come rischia nel medio periodo di diventare in Italia, fatto salvo rare eccezioni.
In quel paese oltre a formare i piloti in modo assolutamente aderente a quelle che sono le esigenze del soccorso in montagna, si è pensato di andare oltre impegnando ulteriormente i piloti, quando non in servizio di elisoccorso, ad effettuare attività con ditte di lavoro aereo. Si è dimostrato (lo dicono tutti gli indicatori, ma soprattutto lo dice chi opera quotidianamente, i piloti stessi) come una frequente attività al gancio abbia elevato le capacità di fare in sicurezza il così detto volo stazionario fuori effetto suolo, abbiano aumentato la precisione delle manovre e velocizzato nel complesso l’approccio al target.
Qualcuno, già leggendo queste righe si sentirà parte in causa. Non è colpa nostra, ma di quei processi che stanno lentamente portando il corpo dei piloti dei vari servizi di elisoccorso a diventare una sorta di autisti d’alta quota. Questo processo avviene non per colpa generalizzata dei piloti (anzi loro non hanno colpa alcuna), quanto piuttosto di quelle dinamiche del mercato e della finanza che nell’ultimo decennio (gli effetti reali saranno tangibili nel medio periodo, ma se queste sono le avvisaglie c’è davvero da preoccuparsi) hanno portato alla chiusura o all’assorbimento di tante ditte che sino a qualche anno prima avevano, tra una parte dei propri ricavi, anche la componente fondamentale del lavoro aereo.
Negli anni ’80 e ’90 quasi tutte le ditte sorte nel nostro paese avevano, infatti, una parte significativa della loro attività (nda: erano nate tra l’altro per queste finalità e non per svolgere servizi di elisoccorso così come oggi modernamente lo intendiamo) nel lavoro aereo. Posa di cavidotti, trasporto di benne d’acqua nell’AIB o di calcestruzzo, trasporto al gancio di qualsiasi materiale, erano attività pressoché quotidiane che impegnavano seriamente piloti e tecnici ad ore ed ore di ganci per la posa, talvolta millimetrica di un cavo da tensionare.
Queste stesse, oltre a far conoscere in modo analitico il territorio montano, valli, pendii, ecc., erano anche una continua fucina di prove empiriche magari neppure volute, di esperienze maturate sul campo … anzi in montagna, di approcci al volo in montagna.
Quando, successivamente o contestualmente a questi periodo, iniziarono i prodromi dell’elisoccorso (in Val d’Aosta, nel Trentino Alto Adige e nel Bellunese tra il 1982 ed il 1986 le ditte di lavoro aereo congiuntamente al C.N.S.A.S. stavano praticando, mese dopo mese, esperienze tecniche sempre più significative), i piloti erano gli stessi che nel dato servizio di elisoccorso facevano anche ed ancora una frequente attività di lavoro aereo.
Non a caso l’attuale normativa S.A.R. è stata scritta sotto le Dolomiti e non in Piazza S. Marco. Guarda caso le specifiche che dovrebbero avere i piloti e gli specialisti in ordine alle ore di volo in montagna, ai soccorsi effettuati in montagna con l’uso di verricello e gancio sono state elaborate considerando le peculiarità di questo servizio e non già altre tipologie.
Altro processo ormai consolidato, pressoché irreversibile, nell’elisoccorso italiano è quello invece generato dalla scelta dell’elicottero da parte del committente, diversamente chiamato Servizio Sanitario Nazionale. Chi in buona fede, chi attratto da lusinghe e sirene di diversa natura e grado ha preferito garantire alla propria struttura sanitaria elicotteri sempre più pesanti … anzi si dice performanti che, guarda caso e prescindendo dalle marche in gioco, sono anche oltremodo costosi sia in termini di investimento iniziale sia in termini di costi d’esercizio e costi manutentivi.
Non è più, infatti, sufficiente portare il ferito e l’attrezzatura biomedicale essenziale per fare un soccorso efficace, efficiente e veloce, dobbiamo dare sfoggio di inusitata potenza portando al seguito molto spesso il superfluo. Poi non si riesce più ad atterrare nel tourniquè del passo di montagna, al lato della tangenziale o nel campetto di calcio della parrocchia … o a fare un banale hovering sulla pista da sci oppure su un cengia minuta e sassosa, ad entrare in un canale che sino a qualche anno prima magari comodamente facevi. Qualcuno può dire il contrario?
A questa dinamica di per sé non confutabile, sono i fatti a parlare e descrivere quanto succede, va associato il fattore principale che generato questo stato di cose. Anche qua, nessuno me ne voglia, poiché sono dati altrettanto incontrovertibili, è il problema di chi scrive le regole.
Negli Stati Uniti non è certo il costruttore di interruttori a scrivere le norme sugli impianti elettrici, ugualmente avviene per gli elicotteri. Diversamente non si spiega come in quel grande paese possa essere effettuato l’elisoccorso sanitario con un monomotore o il volo notturno sempre con un monomotore. In Italia bisogna avere almeno cinque motori, tre piloti, svariati specialisti, un paio di TAC, il frigo e la possibilità di barellare almeno tutto il paesino di montagna …
Non può continuare a funzionare così. Non deve funzionare così. E’ una questione di operatività per il Soccorso Alpino ma non solo per questa organizzazione, è una questione di costi sociali … è una questione strettamente connessa all’utente, cioè il ferito o l’ammalato che, di questo passo, rischia di diventare non già l’obbiettivo primario della nostra attività, ma un qualcosa di meramente strumentale.
Un servizio di reale eccellenza rischia, per normative sempre più restrittive che non sono peraltro giustificate da alcun motivo legato alla sicurezza, per la tipologia degli elicotteri sempre più pesanti, per le caratteristiche delle così dette risorse immateriali, rischia – dicevamo – di diventare un servizio, dove l’eccellenza è scritta solo sui libri che la ricordano.
Aggiungo a queste ferite aperte degli altri esempi. Quanto costa ad esempio al cittadino il servizio antincendio sulle piazzole degli ospedali? E’ uno degli esempi tradizionali di come sia stata creata ad arte l’aspettativa di un bisogno per un servizio che non serve assolutamente a nulla, verificato che la statistica conforta questa tesi ed il buon senso porterebbe a dire qualcos’altro …
Va da sé che con questa analisi anche il Soccorso Alpino deve fare la propria severa ammenda. In termini politici, per non aver dimostrato alcun peso contrattuale nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale, ovvero di non essere nella grande pluralità delle situazioni neppure inserito nella commissione di gara per la stesura dei capitolati né in quella aggiudicatrice. Dal punto di vista tecnico, per non aver fatto le valutazioni corrette sulle tipologie delle macchine, forse perché troppo attratto dalla potenza che queste hanno indiscutibilmente esercitato nelle menti più modeste nell’elaborazione.
Tornare indietro è oggi giorno pressoché impossibile, il processo – come detto – è pressoché irreversibile, troppi gli interessi pesanti in campo. Apporre dei correttivi e migliorare le attuali dinamiche è invece possibile solo se verranno profondamente compresi gli errori commessi e se tutto il Soccorso Alpino lavorerà con un unico, anzi triplice obiettivo: garantire sicurezza, qualità e velocità nel soccorso in montagna, con l’arrogante consapevolezza determinata da dati statistici e bilanci alla mano, di essere nel giusto.