Pensare di tratteggiare l’uomo Costola, alle volte forse anche… il tornado Costola, è un’operazione abbastanza complessa perché con estrema facilità si possono dimenticare alcune sfaccettature della sua poliedrica attività svolta nella società bellunese e, cadorina, in particolare. Attività medica-sanitaria, attività politica, ma soprattutto attività di sognatore di concretezza.
Mi soffermerò allora, per l’economia della serata, solo su alcune di esse, che sono poi quelle che conosco meglio e si legano alle attività del 118 nella sua ineludibile interazione con il Soccorso Alpino.
Allora non posso non ricordare come alcune delle sue visioni prima, progettualità poi, abbiano – come anticipavo – segnato il tempo e scandito alcune tappe legate ai servizi di urgenza ed emergenza medica davvero importanti per questa nostra provincia e per il Veneto intero. Alcune di queste tappe possono definirsi antesignane, altre in larghissimo anticipo rispetto ad altre parti del nostro Paese.
Partiamo con il periodo 1982-1986, arco temporale in cui il Soccorso Alpino Bellunese ed Elidolomiti iniziano una serie di importanti sperimentazioni tecnico-operative con un elicottero SA315B, più noto come Lama. Queste attività assunsero le caratteristiche di vero e proprio studio sulle modalità operative di soccorso in montagna, muovendo cioè dal principio che le tecniche del lavoro aereo fossero applicabili ai più complessi interventi in montagna, soprattutto se coniugate alla presenza dell’elemento sanitario: il medico. Queste prime fasi, di quello che sarà poi il moderno elisoccorso, vennero seguite e colte da Angelo Costola con notevole interesse, poiché sposò la tesi, istituita e praticata solo poco più avanti, che fosse davvero necessario portare immediatamente il medico anche in montagna sul paziente critico per stabilizzarlo, che fare esattamente il contrario, come sino ad allora era sempre fatto, cioè recuperarlo e poi, con tempi medio-lunghi, ospedalizzarlo. Certo elementare, ma con il solito detto che confermava che tra il dire e il fare c’era ancora un abisso da colmare.
In questo periodo era, però, concentrato in un altro obiettivo strategico.
Il 9 agosto del 1986, infatti, viene costituito in Auronzo di Cadore, su interessamento, sollecitazione e sotto la sua stessa direzione, il primo “SUEM 118” ante litteram della Regione Veneto, tra le prime strutture di questo genere in Italia. Realtà Bellunese a tutto tondo, creata solo dopo Bologna ed Udine. Aveva come numero 0435-99642, poi 33118.
Dopo alcuni anni di varie sperimentazioni operative e con la realizzazione di un’attività di soccorso già in parte consolidata, il 1° giugno 1988 viene finalmente avviato il “Servizio di Elisoccorso Bellunese” grazie alla strettissima collaborazione del 118 di Pieve di Cadore e del Soccorso Alpino Bellunese. È il CNSAS a mettere a disposizione del 118 un’eliambulanza Ecureil B2, di proprietà dell’Elidolomiti, con equipaggio di condotta e tecnico di soccorso alpino, mentre l’allora ULSS n. 1 di Pieve di Cadore provvedeva alla dotazione del personale sanitario e delle idonee attrezzature biomedicali per l’elicottero.
1998 – 1^ Sperimentazione del Volo notturno, primo in Italia e tra i primi in Europa, per un periodo di sei mesi, il Servizio di Elisoccorso notturno.
In quella fase sperimentale vengono effettuati 40 interventi per un totale di circa 35 ore di volo.
2007 – 2^ Sperimentazione del volo notturno. Parte il 30 giugno 2007 la sperimentazione del volo notturno concessa solo a Belluno per un territorio (“area vasta”) che comprende le due province di Belluno e Treviso. Ricordate questo particolare di area vasta Belluno e Treviso.
2008/2009 – Assieme al Soccorso Alpino in campi a livello normativo per uscire dalla logica del volo notturno “da piazzola a piazzola”, modalità operativa fortemente limitante per quei territori che non ne avevano una, con vanificazione dello stesso principio di elisoccorso notturno. La comune attività darà luogo al licenziamento della Legge n. 26/2010.
Ma queste sono date ed obiettivi forse già noti che non dicono ancora del mio rapporto con lui che inizia oltre 25 anni fa in modo oltremodo burrascoso, con un livello di decibel particolarmente elevato, così elevato che alcune infermiere del piano accorsero in quell’occasione verso la saletta dove si teneva in nostro primo incontro de visu, per accertarsi che non fosse davvero accaduto qualcosa di grave ed irreparabile.
In quel periodo, si stavano, infatti, registrando elevate criticità nel rapporto Soccorso Alpino/118 che, dopo il periodo d’oro della nascita dell’elisoccorso di qualche anno prima, andarono a creare un diffuso clima di reciproca sfiducia operativa e di cui anche Angelo Lino ne è stato testimone. Un clima pesantissimo, il cui perdurare, avrebbe, alla fine, potuto pregiudicare alcuni degli stessi parametri quali-quantitativi del servizio che allora veniva erogato.
Questo stato di crisi però, perdurava pesantemente, senza fare emergere possibili soluzioni. Ognuno era pieno delle proprie ragioni esplose nelle varie lettere trasmesse e forte di alcune comparsate sulla stampa. Era difficile continuare così. Davvero difficile.
Non avevo mai parlato direttamente con lui se non in un paio di occasioni formali, peraltro congiuntamente ad altre persone, proprio nel corso di quella situazione conflittuale che stava vivendo il sistema. Gli avevo dato sempre del lei, registrando un personale ed indubbio timore referenziale, pur nelle parole di circostanza che avevamo brevemente scambiato.
Ebbene, un bel giorno, quasi per uscire dall’impasse creatasi rispetto alla situazione descritta, previa richiesta di un appuntamento, gli sottoposi tre elementi di possibile sintesi. Mi lascio parlare per pochi attimi premettendo che dovevo essere breve ad elencare questi punti.
Allora, glieli esplicitai. Il primo: stipulare una convenzione e un protocollo operativo su tutta l’attività della CO118 e dell’elisoccorso che determinasse, anche ex lege, con chiarezza, dunque, il reciproco rapporto operativo attraverso regole e procedure. Il secondo: pianificare attività addestrative e formative delle Stazioni con l’elicottero, ciò per riappropriarsi anche simbolicamente di un mezzo che il personale CNSAS aveva sentito nel tempo sottratto dalla loro gestione dal ruolo preminente 118, quindi l’inserimento del tecnico di centrale. Il terzo: redare progetto di legge regionale che avrei di certo condiviso con lui.
… non riuscii a terminare quanto ho, testé, a voi riproposto che iniziò ad urlare e diventare tutto rosso in viso, sembrava scoppiargli la giugulare e si era perfino alzato in piedi quasi per dare maggiore enfasi al dire… “e cosa sarebbe tutta questa carta da fare??????”, “E sto circo dell’elicottero che gira per le Stazioni un’altra delle tue invenzioni odierne?????”, “E la legge?? Par far cheeee?????? Bastaaaaaaaa soccorso alpino!!!!”
Iniziai allora a sbraitare anche io. Se di decibel si doveva morire, allora valeva la pena tentare di farlo con il massimo impegno.
Arrivarono, come anticipato le prime infermiere…
Angelo Costola, quando si rese conto che non stavo indietreggiando alzò all’ultima ottava possibile la voce, quindi, si mise a sedere e disse una frase che ricordo ancora con buona precisione “se smetti di urlare possiamo parlare, se smettiamo di urlare sentiamo di certo meglio e possiamo ripartire. Ripartiamo dall’inizio, quindi dal punto 1.” Poi si mise a ridere di gusto e in modo profondo, dicendomi di dargli del tu.
Compresi allora che si era creato un legame. Pochi trefoli di una corda che ormai si era sfilacciata e consunta a forza di urlare come gli invasati furono sufficienti, di fatto, per creare un rapporto autentico, fatto di rispetto reciproco e determinazione, che durò inalterato sino alla fine.
Cosa lo ha fermato nel suo incedere negli ultimi suoi anni? Non la morte che non temeva neppure da ammalato, ma un altro aspetto esiziale.
Indubbio che tutto ciò vada ricondotto al 22 agosto 2009, quando Falco I-REMS precipitò sul Monte Cristallo, portando con sé 4 dei nostri ragazzi.
Questa data è stato un confine nel suo cuore spezzatosi assieme a quell’elicottero. C’era “un prima” e c’è stato un dopo che è diventato improvvisamente “altro” anche per la sua straordinaria forza caratteriale. “Un altro” che lo ha appesantito nell’animo. Possiamo biasimarlo dopo tante battaglie vinte per creare ed istituire servizi legati all’urgenza ed emergenza che hanno dato dignità alla nostra provincia? Io non credo, perché il dolore provato in quelle giornate è in fondo lo stesso che avverto ancora io.
Di certo aveva dalla sua l’intelligenza sottile, l’intuizione e la decisione nelle azioni. Ma queste qualità sarebbero rimaste dei meri aggettivi – credetemi – se non si fossero coniugate ad un’altra qualità che le faceva innescare ed attuare: la passione, la sua potente passione per il territorio e per le sue comunità.
Questa la cifra di Angelo Costola in estrema sintesi.
Non so se aver connotato magari in modo frettoloso la figura di Angelo Costola debba anche portarmi anche ad offrire delle parziali conclusioni che, di certo, non spetterebbero a me. Mi sia almeno concesso affermare che la sua eredità è stato un lascito non raccolto e messo a frutto dal territorio che, con troppa superficiale frettolosità, è invece paradossalmente arretrato su alcune delle conquiste raggiunte. Parlano i fatti, anzi i non fatti.
Non posso non annoverare in questo appunto, certo acido ma del tutto vero, dunque non confutabile negli atti, le plurime promesse per garantire un servizio di elisoccorso notturno H24, promesse ad oggi restate tali, cioè disattese nonostante le previsioni e le disposizioni formali legate all’approvazione delle schede sanitarie regionali avvenute ancora nel 2019… 5 anni fa, dunque.
Uno stato di fatto questo, per il cui merito sono a disposizione per chiarimenti, successivi, uno stato di fatto che dovrebbe ricreare un orgoglioso focus da parte del territorio e dei suoi portatori di interesse, amministratori in primis.
Non voglio però strumentalizzare il pensiero di Angelo Costola, ma sono pressoché certo che avrebbe condiviso questo ed altri obiettivi e che si sarebbe battuto sotto una bandiera che non ha i colori dell’appartenenza, ma i colori cristallini del nostro territorio e di queste comunità che ancora aspirano a vivere qua, in montagna, con la dignità dovuta e a questo punto anche necessaria.
Fabio Bristot - Rufus