Quando il Signore sentì quel rumore di vento intriso di acqua e fango e, poi, l’urlo dell’acqua nera sconvolgere il silenzio della sera, chiese cosa stesse succedendo.
Alcuni angeli trafelati e tutti sudati, con le mani nei capelli e con le vesti sporche di melma, gli risposero che la cupidigia dell’uomo aveva voluto vendere delle cose strane che chiamavano chilowatt, pagandoli con i corpi di uomini e donne, con quelli di tantissimi giovani e addirittura anche di molti bambini, alcuni non ancora nati.
Al Signore, allora, eruppe una lacrima, poi un’altra e, quindi, un’altra ancora dall’angolo dei suoi occhi buoni che iniziarono anche a piegarsi dal dolore. Quelle gocce di sale sciolto gli scavarono, infatti, rapidamente il volto, andando poi tutte ad asciugarsi tra i peli della barba, folta e bianca che gli ricadeva abbondante sul petto.
Il Signore prese allora un pezzo di roccia e la ridusse prima in polvere fine, mescolandola alla luna e al cielo, quindi la amalgamò a delle lacrime ancora, perché quel impasto potesse diventare, alla fine, speranza.
Avvicinò al petto quei sottili granì opalescenti e strofinò, uno ad uno, centinaia di quei frammenti al suo cuore. Quindi, li sparse con una inusitata calma sopra Longarone, Codissago, Castellavazzo, Erto e Casso, pronunciando ad uno ad uno i nomi di quegli innocenti dissolti ormai nell’aria assieme a quei corpi.
Pianse ancora, pensando a quegli uomini che avevano anteposto il profitto alla vita.
Dopo un momento di riflessione ancora, diede fuoco al sole e chiamò l’alba perché la luce potesse ridare vita a quelle comunità piegate dal dolore, che avrebbero saputo però rialzarsi, ma mai offrire perdono. Perdono che neppure lui, misericordioso e buono, seppe mai dare, con quei solchi eterni delle lacrime presenti ancora sul suo viso, memoria viva per il futuro.
Ogni anno, il 9 di ottobre, il Signore trova nelle ampie tasche della sua tunica turchese alcuni di quei grani e, allora, li getta nell’infinito giorno perché siano memoria eterna.
Fabio Bristot – Rufus