L’ALLARME
Il giorno 25 dicembre 1989, verso le 11 circa, un gruppo di cinque sci-alpinisti, dopo aver raggiunto l’intaglio della cresta ovest di Forcella Staunies che permette di accedere al glacionevato di Cresta Bianca, stava compiendo la discesa lungo il versante settentrionale del vallone che porta direttamente a Cimabanche. Dopo aver percorso il ripido canalino iniziale, a circa 2/3 del successivo versante, uno dei componenti del gruppo si discostava dalla traiettoria inizialmente seguita, portandosi in direzione del versante nord-orientale di Cima Padeon. A questo punto avveniva un primo importante distacco di una valanga su questo versante, per un fronte di circa 400 metri. che travolgeva lo sci-alpinista, seppellendolo completamente. La massa nevosa in movimento determinava in rapida successione un secondo distacco sul versante settentrionale per un fronte di oltre 800 metri.
Fortunatamente tre componenti del gruppo, leggermente più avanzati, riuscivano ad anticipare il sopraggiungere della massa nevosa portandosi in salvo al di fuori della zona di accumulo. L’altro, in posizione leggermente più arretrata, spinto dalla neve in movimento e semisepolto riusciva prontamente a liberarsi.
I tre sci-alpinisti rimasti sul posto iniziavano immediatamente le operazioni di soccorso mediante ricerca vista e udito di Walpot Maria Clara, giovane ragazza di Cortina d’Ampezzo, rimasta totalmente sepolta dalla coltre nevosa.
Un componente del gruppo, invece, scese immediatamente verso Ospitale per la richiesta di soccorso. Durante l’affannosa discesa a valle, nella prima parte del tragitto, determinava anch’egli un distacco a distanza di un’altra valanga enorme, il cui fronte è stato stimato di 1000 metri circa.
Alle ore 12.05 veniva fatta la chiamata di soccorso alla Centrale Operativa dell’Elisoccorso Bellunese e alle 12.29 la prima unità cinofila veniva scaricata dall’elicottero alla base della valanga insieme al Tecnico di Soccorso. Alle ore 12.55 era già costituita sul posto una prima squadra di ricerca e soccorso composta da: Direttore delle operazioni in Valanga, Capo Squadra Sondatori, Medico, Unità Cinofila da Valanga (U.C.V.), Tecnico di Elisoccorso e sei Volontari del C.N.S.A.S. che iniziavano le specifiche operazioni di soccorso.
A partire dalle ore 13.16 venivano impiegati nella valanga n. 7 U.C.V., n. 3 elicotteri (n. 1 Elisoccorso, n. 1 privati e n. 1 delle FF.AA.), n. 41 Volontari del C.N.S.A.S., n. 10 Finanzieri della Stazione S.A.G.F. di Cortina d’Ampezzo. Successivamente, alle 15.10, n. 6 Vigili del Fuoco Permanenti del Comando Provinciale di Belluno.
Alle 17.00 le ricerche venivano sospese per il sopravvenire dell’oscurità e per il costante pericolo di distacco di alcuni lastroni di neve ancora instabili, posti poco più a monte.
LE RICERCHE SISTEMATICHE
Ciò a cui i primi soccorritori si sono trovati di fronte, anche in virtù della scarsità di precipitazioni nevose precedenti all’evento (n.d.r.: ricordiamo che il 1989 in Dolomiti è stato l’anno con le minori precipitazioni nevose dell’ultimo ventennio), era una valanga di proporzioni enormi, un ammasso di neve sulle cui dimensioni e caratteristiche non esisteva memoria né alcuna letteratura al riguardo. Si stima, infatti, che la massa del solo accumulo sul fondo dell’anfiteatro della Cresta Bianca fosse di oltre 50.000 metri cubi, con una parte dell’accumulo che si trova in una zona ancora molto esposta. La parte restante della massa nevosa, composta di altri 30.000 metri cubi, era localizzata in un’area relativamente circoscritta al luogo dell’incidente, ma con uno spessore medio di almeno 10 metri ed in alcuni zone con punte di 14 metri. In quest’ area, infatti, la valanga a lastroni staccatasi dal crinale di sinistra era stata sormontata da una seconda valanga, facendo insorgere fra l’altro nei testimoni l’incertezza sulle ultime fasi dell’incidente e, quindi, sul posto preciso in cui la travolta era stata vista per l’ultima volta.
Di fronte a questa situazione era quindi ovvio che la strategia delle operazioni del giorno successivo sarebbe stata improntata sull’azione localizzata dalle Unità Cinofile.
La mattina del 26 dicembre grazie al coordinamento di Angelo Devich, allora Capo Delegazione Bellunese, venne prodotto uno sforzo senza pari in termini di uomini e mezzi e soprattutto di coordinamento delle risorse in campo.
Con l’ausilio di n. 4 elicotteri (n. 2 AB/205 del 4° Corpo d’Armata “Alpino” n. 1 “Lama” ed n. 1 Ecureuil B1 dell’Elisoccorso Bellunese) venivano portati sul luogo della valanga n. 25 U.C.V., n. 153 Uomini del C.N.S.A.S. e n. 8 Finanzieri del S.A.G.F.. L’impiego dell’elicottero si dimostrò indispensabile per il trasporto di tuttii soccorritori in un ambiente operativo, altrimenti inaccessibile e particolarmente ostile. Una temperatura costantemente al di sotto dei -14° C ed un vento sferzante non impediva un lavoro frenetico. Cominciarono però a prospettarsi i primi problemi, dovuti non tanto alla vastità della superficie da esplorare, quanto all’insolito spessore ed alla compattezza dell’accumulo nevoso che in alcuni punti stava assumendo le caratteristiche del ghiaccio vivo.
Le operazioni di sondaggio, per essere condotte in modo corretto, si sarebbero dovute svolgere lungo linee parallele equidistanti fra loro e soprattutto con le sonde tenute perfettamente perpendicolari al terreno, oltre che perfettamente allineate. Per le suddette ragioni, quello che avrebbe dovuto essere un sondaggio di precisione rischiava, invece, di perdere questa qualità, perché le sonde troppo lunghe (più di 3 metri) risultavano troppo elastiche, tanto che spingendole in profondità deviavano anche di molto rispetto alla perpendicolarità richiesta, lasciando ampi spazi insondati. L’estrema durezza della neve poi, (la temperatura non aveva subito variazioni e si manteneva costantemente tra i – 12 C° ed i – 16 C°) costringeva i sondatori ad operare con forte disagio, aumentando notevolmente la possibilità di imprecisioni.
Il 27 – 28 – 29 dicembre, le ricerche continuarono senza soluzione di continuità e con uno sforzo logistico ed organizzativo davvero ragguardevole. Risorse importanti, tra i quali n. 2 elicotteri AB/212 del S.A.R. (Aeronautica Istrana TV), n. 12 U.C.V.,n. 130 soccorritori al giorno, dei quali n. 112 tratti dal personale C.N.S.A.S. della Delegazione II^ Zona “Bellunese”, erano impegnati in un’attività di ricerca spossante, nella quale il concorso emotivo sicuramente contribuì ad imprimere il massimo sforzo e la massima metodicità. Mentre le operazioni di sondaggio andavano via via esaurendosi ed i cani da valanga cominciavano a perdere la sensibilità distratti dai troppi odori diversi, si decise di variare la strategia delle ricerche, orientandosi verso lo scavo metodico della neve accumulata e l’uso di alcuni rilevatori di oggetti metallici (metal-detectors) che avrebbero potuto segnalare la presenza degli attacchi e dei bastoncini della persona travolta.
Già il 26 e 27 erano stati scavati, senza esito, dei profondi cunicoli (vere e proprie trincee lunghe 30 metri, larghe 6 e profonde dai 6 agli 8 metri) in senso longitudinale, cercando di offrire la possibilità di effettuare un sondaggio in profondità più efficace. Dette trincee venivano realizzate nei siti ove maggiore era stata la segnalazione delle U.C.V.. Le implicite difficoltà di esportare il materiale scavato, senza doverlo rimaneggiare troppo spesso, indusse ad adottare il sistema usato per il trasporto della neve sulle piste da sci. Esso consisteva nell’utilizzare i sagomati di lamiera piegati a “U”, lunghi 3 metri e collegabili tra di loro, messi a disposizione delle Società Impianti a Fune Ampezzane e dalle Scuole di sci locali. Su di essi, se la pendenza era sufficiente, la neve ed il ghiaccio scorrevano veloci, permettendo di portare grandi quantità di massa nevosa al di fuori del fronte della valanga.
Mentre alcune squadre procedevano in questo modo allo scavo e all’allontanamento della neve nelle zone in cui più probabile era sembrata la localizzazione della persona dispersa, altre squadre scavano dei cunicoli dove i metal-detectors avevano indicato la presenza di un qualche possibile riferimento. Purtroppo anche con l’uso di tecnologia sofisticata i risultati permanevano negativi, gli strumenti spesso venivano deviati dalla presenza, sul fondo del ghiaione, di innumerevoli frammenti di residuati bellici della prima guerra mondiale.
Dopo una lunga serie di falsi allarmi e per la consapevolezza dell’esiguità della parte rimossa rispetto all’enormità del corpo della valanga, sottoposti a condizioni particolarmente estreme con una temperatura oltremodo rigida che ha toccato anche i 20 C°, per cinque giorni costretti ad operare con ritmi sostenuti, senza fermarsi per non restare bloccati dal freddo, iniziarono a manifestarsi segni di profonda stanchezza commista ad uno sconforto palpabile tra tutti i Volontari del C.N.S.A.S. ed il Personale degli Altri Enti coinvolti.
Il giorno 29, ad esempio, alcuni Alpini inviati dalla Prefettura di Belluno, quale personale di rinforzo ai soccorritori del C.N.S.A.S., dopo due ore di lavoro a quota 2.660, iniziarono a presentare sintomi di congelamento e notevole affaticamento. Per evitare patologie più gravi, due soggetti furono fatti trasportare immediatamente nella “tenda comando” allestita in zona operativa, in attesa del trasporto a valle con elicottero che avvenne qualche decina di minuti più tardi.
L’enorme dispendio di uomini e di mezzi, l’energia prodigata nei giorni precedenti e soprattutto la mancata disponibilità degli elicotteri militari (il Soccorso Alpino Bellunese poteva disporre di una somma assai modesta per l’impiego degli elicotteri privati convenzionati) che avrebbe oltremodo limitato la complessiva operatività del Soccorso Alpino, erano tutti fattori che stavano, infatti, duramente provando le ricerche.
Il 30 dicembre, anche su espressa volontà dei familiari della vittima che, pur nel comprensibile dolore, erano anche preoccupati per l’incolumità di tutti i soccorritori, venne presa la decisione di sospendere le ricerche.
Fu in ogni caso delimitata in modo visibile l’area già sondata e quella nella quale erano stata effettuata l’escavazione e recuperato tutto il materiale logistico (n. 2 tende 6×6 con dispositivo da riscaldamento, n. 3 gruppi elettrogeni da 3 Kw., n. 6 fotoelettriche, n. 2 stazioni radio base, n. 8 termos da litri 5, n. 3 megafoni, n. 58 segmenti di lamiera a “U”, n. 100 sonde da valanga, n. 122 badili di vario genere, n. 10 ARVA di riserva, n. 2 barelle, n. 1° zaino medico, un congruo numero di bandierine, materiale di cancelleria) con elicottero privato convenzionato.
I Volontari del C.N.S.A.S. fecero un rientro assai triste, spossati ed impotenti di fronte alla forza della natura che aveva soverchiato di gran lunga quella umana: 6 giorni di ricerche e di operazioni intense, svolte in un ambiente oltremodo severo, non permisero di ritrovare il corpo Yaya.
LA SECONDA FASE DELLE RICERCHE
Dopo due settimane di bel tempo, con assenza di precipitazioni, lo scrupolo di dover fare “tutto” il possibile per il recupero della salma di Maria Clara, unito alla considerazione che una tale massa di neve, in simili condizioni orografiche, avrebbe potuto sciogliersi e restituire il suo corpo non già nell’estate successiva, ma anche a distanza di molti anni, indusse il Soccorso Alpino a riprendere le ricerche.
Dopo aver preso accordi con la “Società Funivie Tofana Marmolada” che avrebbe messo a disposizione un gatto delle nevi e dopo aver valutato la possibilità di raggiungere l’anfiteatro della Cresta Bianca con il mezzo meccanico, scavalcando la Forcella Grande, il 18 gennaio 1990 ripresero le operazioni.
Vennero posti in loco gli ancoraggi per issare il gatto delle nevi sul canalone sud della Forcella, in parte privo di neve.
Il mattino del 19 gennaio, non senza rischi e con grande abilità, Armando Pescador e Giorgio Bolognani riuscivano, con l’ausilio degli ancoraggi predisposti dal personale del C.N.S.A.S. ed il vericello di bordo del mezzo, ad issarsi alla forcella, scendendo quindi sul versante nord, ed iniziare a rimuovere con il “gatto” e con l’ausilio di 22 Volontari del C.N.S.AS. lo strato superficiale dei 3 metri precedentemente sondato.
Nei giorni 20–21–22 gennaio il gatto delle nevi rimuoveva gran parte dell’accumulo di neve dell’area già interessata dai sondaggi e su ogni superficie appena liberata da uno strato di tre metri venivano ripetuti i sondaggi di precisione.
Nei giorni in questione continuarono ad operare in loco una media di 35 persone tratte dal C.N.S.A.S. Bellunese e dal Soccorso Alpino della Guardia di Finanza di Cortina d’Ampezzo, che scendevano ogni mattina a piedi da forcella Staunies, lungo un percorso attrezzato con corde fisse di sicurezza, e vi risalivano la sera.
A mezzogiorno di lunedì 22 gennaio il mezzo meccanico si guastava ed il resto della giornata venne impiegato a ripararlo. Il giorno successivo, considerando i problemi meccanici non del tutto risolti, le condizioni meteorologiche in peggioramento e il persistente esito negativo delle ricerche, veniva decisa la loro definitiva sospensione ed il gatto delle nevi con molte difficoltà venne fatto rientrare a valle.
In quei giorni furono spostati circa 10.000 metri cubi di neve, pari ad un terzo della massa presente sull’area di più probabile localizzazione. Questa azione permise di ridurre ad un massimo di 3 metri di altezza la coltre nevosa, quanto bastava per garantire il totale scioglimento della stessa con il caldo estivo.
IL RITROVAMENTO:
“YAYA” UNA PERDITA DOLOROSA
Con la prima domenica di luglio, considerato il notevole calo dello spessore del manto nevoso nella zona di accumulo della valanga che per mesi era stata monitorata, la Stazione C.N.S.A.S. di Cortina d’Ampezzo, d’intesa con la Delegazione, la quale provvedeva a fornire alcune Unità Cinofile da Valanga, riprendeva le ricerche, che si ripeterono i successivi sabati e domeniche con l’impiego di 20 Volontari C.N.S.A.S. per giornata.
Sabato 21 luglio, dopo alcuni giorni di temperature elevate che accelerarono considerevolmente il processo di fusione della massa nevosa, il corpo veniva finalmente localizzato a vista. Esso si trovava sul margine inferiore della zona di ricerca, in posizione supina con i bastoncini impugnati e senza uno sci, ad una profondità di circa 1,5 metri dalla superficie del terreno (analisi e studi successivi permisero di valutare la profondità di seppellimento al momento dell’incidente in circa 12 m.).
Fu la fine di un incubo, fu la certezza di aver ritrovato Yaya.
CONCLUSIONI
L’intervento ha coinvolto tutti i Corpi di Soccorso delle Dolomiti. E’ stata una prova di efficienza operativa, di umanità e di solidarietà, che ha visto coinvolti soccorritori delle Province di Belluno e Bolzano, unendo anche 160 persone al giorno che lavoravano per lo stesso scopo, sopportando notevoli disagi, in una delle operazioni di soccorso alpino più importanti compiute sulle Dolomiti.
Questa esperienza è stata un’occasione per provare ed affinare nuove tecniche di ricerca di travolti da valanga, in un ambiente particolarmente ostile, con temperature rigide, coordinare gestire le varie squadre e mezzi. Questa esperienza è stata soprattutto una prova di come, in situazioni di questo genere, il Volontariato specializzato sia di fatto una risorsa insostituibile, proprio perché la sensibilità e l’altruismo di ciascun soccorritore è stato uno sprone emotivo che ha permesso di superare difficoltà tecniche ed operative assolutamente impossibili da affrontare con i soli mezzi ordinari.
Fabio Bristot – Rufus