INTRODUZIONE
Prima di accingermi a scrivere questo breve ricordo di Don Claudio, mi sono posto una serie di domande sia di carattere metodologico sia di tipo sostanziale: mi sono, infatti, chiesto se l’esercizio del ricordo sia sempre un’azione eticamente appropriata o se sia, invece, un tentativo strumentale di caratterizzarla per uno o più aspetti che in realtà interessano solo all’autore.
L’esercizio del ricordo può trarre origine dalla rivisitazione di vicende realmente condivise, dalla narrazione di sfaccettature composite e durature o evanescenti e sfuggevoli della personalità del soggetto e – perché no – dalla sublimazione dell’insegnamento che il suo vissuto ha saputo trasmettere. Il ricordo, quindi, come occasione di cogliere l’emozione della vita, rinnovata nella memoria e nel cuore.
Questo scritto non è, dunque, una biografia quanto, piuttosto, il tentativo di far conoscere il messaggio di Don Claudio perché la narrazione, pur con tratti a volte magari imprecisi, vorrebbe raccontare della sua “caratura”, vorrebbe accompagnarci ancora una volta nella sua stessa vita.
Non ho, pertanto, inteso produrre un lavoro melenso, né un ritratto che scadesse da subito in un artefatto “coccodrillo”.
Ho desiderato, invece, creare tratti reali e verisimili della sua vita.
Questi sono stati assai permeabili all’indubbia fantasia di cui questa realizzazione è imbevuta e di certo contaminata in modo più o meno accentuato a seconda delle sezioni considerate.
Un file rouge, anzi una corda rossa trattandosi di Don Claudio, che ha cercato di collegare in modo indissolubile alcuni momenti della sua esistenza reale ad altri, adeguati alle caratteristiche proprie del racconto, dove l’immaginazione è diventata, a tratti, essa stessa padrona delle pagine e delle azioni prodotte dall’indiscusso protagonista.
Nomi e personaggi, dunque, e soprattutto talune parti del vissuto personale e interpersonale del soggetto principale, Don Claudio, sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Come tali sono usati in modo del tutto fittizio in relazione alle vicende e vicissitudini di carattere personale e famigliari descritte e narrate e nelle varie correlazioni con altri personaggi del libro.
L’assoluta somiglianza, invece, con altri fatti ed eventi descritti nelle varie attività, nei luoghi e con le persone indicate rispetto ai quali Don Claudio è stato protagonista, non sono affatto casuali. Sono un elemento fortemente voluto, quanto richiesto dalla necessità di connotare questo libro non solo con i tratti della fantasia narrante, ma anche con azioni che facilitino la comprensione dei processi e delle dinamiche legate alla stessa personalità di Don Claudio.
Ho voluto così generare un ricordo profondo, quello che porto nel mio cuore, nella parte meno accessibile e per questo forse più sincera, dove rimane per sempre il sentimento a me più caro: l’amicizia.
Ho voluto, infine, tratteggiare non solo il sacerdote, ma anche, come mi sono detto in tutti questi anni, l’uomo con le vesti di sacerdote, la cui l’umanità e la cui caparbia volontà di essere con carità tra gli uomini rimangono i tratti salienti.
Queste indiscutibili virtù, che ho toccato con mano più volte, sono stato il comune denominatore che ha tentato di sorreggere e tenere insieme le pagine che seguono, assieme a quella che è stata l’ultima salita e discesa dal Monte Pore
[1] Il Monte Pore (2045 mt.), appartenente al gruppo Averau-Nuvolau, è la montagna salita da Don Claudio Sacco nel corso della sua ultima uscita scialpinistica effettuata il 2 dicembre 2009.