Stupito, leggo oggi dai media, con quale bravura l’amico Luciano Da Pian, con a fianco qualche ardito quanto smaliziato suggeritore ( ), abbia indossato le scarpette e l’imbrago per effettuare la più classica delle arrampicate sugli specchi in difesa dell’indifendibile.
Non è più ora di arrampicarsi, ma di tornare velocemente con i piedi per terra, attenendosi ai numeri e non alle enunciazioni. I numeri sono quelli della mozione approvata dal Consiglio Comunale. I numeri sono quelli non sconfessabili delle “Schede Ospedaliere” approvare dalla Regione Veneto.
La sanità non può e non deve più essere una costante partita a scacchi tra maggioranza e opposizione (io in questo caso), ma dovrebbe essere un costante esercizio della politica bellunese per avere in montagna le migliori specialità e quei servizi d’eccellenza degni di essere chimati tali, possibilmente il più possibile vicini al territorio. Se poi trattasi di servizi “salva vita” come, a solo titolo esemplificativo, l’elisoccorso notturno, la neurochirurgia, la cardiologia, allora deve passare il principio che solo “l’area ristretta” e vicino alle comunità della montagna è il parametro che tutta la politica dovrebbe richiedere con forza a Venezia. Altro che… “area vasta”… dove tutto si perde e nulla si raggiunge se non con la solita attribuzione che viene di conseguenza: cittadini di serie a, montanari di serie b. E non è un piagnisteo nè può esserci fatta una colpa per essere nati sopra il Fadalto
O si capisce che questo processo politico deve avvenire senza più alcuno indugio, ora, perchè domani sarà (è già) tardi Non potrà neppure essere neppure possibile che sia sempre e comunque Treviso a dover garantire tutte le tipologie di servizi salvavita per una serie di ragioni tecniche che si possono a margine illustrare con estrema precisione, ma soprattutto perché nell’urgenza e nell’emergenza sanitaria deve vigere – lo ribadisco – non già il principio “dell’area vasta” (prestazione differibile nello spazio, quindi anche nel tempo), ma quello “dell’area ristretta” (neologismo assai calzante) dove la prestazione deve essere pressoché immediata, quindi la più vicina possibile all’utente, cioè in questo caso al nostro territorio che, come abbiamo visto e sappiamo per esperienza, non permette una mobilità estremamente rapida. Anzi, l’esatto contrario.
Pazienti tempo dipendenti e golden hour (lasso temporale che da pochi minuti va a diverse ore dopo una lesione traumatica causata da un incidente o da qualsiasi altro effetto, durante il quale vi è la più alta probabilità che un pronto e adeguato trattamento medico possa evitare la morte o favorire esiti gravemente invalidanti) fanno si che sia intollerabile effettuare, ad esempio, un tragitto Arabba (e in genere tutta la parte alta dell’Agordino e Cadore/Comelico)-Treviso per la centralizzazione di un paziente”, ad esempio, in NCH all’Ospedale Cà Foncello, tragitto che comporta quasi 150 km percorribili in oltre due ore, neve e traffico permettendo).
Basta arrampicare sugli specchi, dunque, ma si generi un tavolo di confronto immediato su un tema dove l’intera conferenza dei Sindaci deve tornare ad esercitare il proprio ruolo senza tentennamenti. Sindaci uniti, ma anche il Presidente della Provincia che non può ancora più a lungo sottrarsi alle criticità evidenti a tutti: la Provincia non ha competenze dirette sul tema?? Non mi interessa, si prenda senza tanti problemi ed equilibrismi quelle indirette a difesa del territorio e delle persone che quel territorio vivono ogni santo giorno e notte.
Io ci sono e con quanto fiato ho in gola continuerò a sostenere queste tesi, certo che verranno comprese come necessarie.
Fabio Bristot – Rufus Veneto.